Tutto dedicato al meraviglioso mondo del tartufo.
Il Centro Nazionale Studi Tartufo è questo: una sfida colta il 29 febbraio 2000 da un gruppo di istituzioni del Sud Piemonte, stimolate dall’Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero. Per il Piemonte il Bianco d’Alba è innanzitutto un brand irrinunciabile per la reputazione della destinazione, perciò tutto nacque dall’Ente Turismo.
L’attività si concentrò prima sulla ricerca soprattutto in ambito sensoriale, sfociata nella formazione di centinaia di assaggiatori e in un massiccio trasferimento di competenze presso operatori, comunicatori, consumatori finali. L’analisi sensoriale è lo strumento per eccellenza per valutare e godere del prodotto: i tartufi sono tutti pezzi unici e irripetibili, da degustare innanzitutto con gli occhi e con il naso.
Perché è così buono? Perché è così caro? Perché non lo posso conservare? Il lavoro del Centro, per molti mesi dell’anno, è rispondere a queste domande, con una costruzione narrativa che ha assicurato un importante valore aggiunto al prodotto ma soprattutto ai territori di produzione. Moltissimi viaggiatori- consumatori spendono cifre importanti e si creano grandi aspettative attorno a un prodotto di cui sanno pochissimo. Il consumo consapevole, arricchito di conoscenza, rende l’esperienza molto più suggestiva e di valore.
Se si dovessero stabilire delle priorità, al Centro non
Se si dovessero stabilire
delle priorità, al Centro non ci sono dubbi.
La qualità prima di tutto:
come diceva il Maestro Gualtiero Marchesi, “il Tartufo ha un solo bisogno:
il rispetto”.
ci sono dubbi. La qualità prima di tutto: come diceva il Maestro Gualtiero Marchesi, “il Tartufo ha un solo bisogno: il rispetto”. Di qui l’attivazione della certificazione di qualità sensoriale, rilasciata a migliaia di esemplari ogni anno, valutati attentamente a uno a uno, le commissioni di qualità sui mercati, la collaborazione con le Istituzioni per garantire la massima tutela ai consumatori.
La nuova frontiera è il recupero della produzione. Quindi la conservazione dell’ecosistema fragilissimo che ne permette la crescita, il recupero delle tartufaie naturali, la messa a dimora di piante di specie produttive. Ma soprattutto il lavoro è di ordine culturale.
I tartufi non nascono per diritto divino. Da un lato bisogna tenere conto dei cambiamenti climatici che come si è dimostrato nel 2017 possono cancellare un’intera stagione. Dall’altro è necessario che tutti i raccoglitori comprendano la necessità di essere protagonisti della crescita del prodotto e non attivi solo nel gran finale. Il momento della raccolta è magico, costituisce buona parte del fascino del prodotto, è un fenomeno unico, ma rischia di non esistere più se non ci sarà una forte responsabilizzazione da parte di tutti. Alcuni
hanno compreso il messaggio. Sono sempre di più coloro che accettano la sfida e decidono di avere un ruolo attivo: puliscono il sottobosco, aprono un dialogo con i proprietari per salvare le piante, lavorano alla riforestazione.
Ma non basta: serve un’alleanza forte tra Governo, Regioni e tutta la filiera per salvare uno dei pezzi più forti del Made in Italy del gusto.
Intanto si continua a lavorare con le Città del Tartufo alla candidatura della cerca del tartufo a Patrimonio dell’Umanità. L’obiettivo è convincere l’Unesco che l’uomo cercando tartufi ritorna alla sua vocazione di raccoglitore non coltivatore. Un piccolo pezzo di storia dell’umanità che è sopravvissuta a diecimila anni di agricoltura e allevamento, conservando saperi, tradizioni e credenze che illuminano gli occhi di turisti di tutto il mondo quando partecipano a una ricerca con il cane.
Ce la faremo!!!